Dieci anni fa, un’avventura inattesa sulle Alpi del Nord Piemonte mi condusse a scoprire una parte fondamentale di me e della mia storia. In fondo, siamo il risultato di un’incredibile equazione umana, i cui “numeri” sono i nostri antenati, i genitori, la natura e le vicende che ci plasmano. Il risultato è un essere umano in continuo cammino.
Il cammino è l’espressione più pura della libertà.
Tutto ebbe inizio incontrando Matteo Negro, il primo di una lunga lista di compagni di questa avventura. Mi chiese di accompagnare un gruppo di australiani lungo le valli valsesiane. La loro intenzione? Ripercorrere la via della fuga intrapresa da alcuni prigionieri australiani durante la Seconda Guerra Mondiale per raggiungere la Svizzera. Non sapevo nulla di quello che stavo per fare e questo è uno dei motivi per cui resta il viaggio più bello che ho fatto e che ripeto ogni agosto.
Insieme a Giorgio, un’altra guida della Valsesia, dicemmo subito di sì alla proposta di accompagnarli. Le prime prove furono faticose (ricordo la fatica, il sudore e le maledizioni). Provo sempre i percorsi che propongo, specie poi se sono in alta quota (dai 1400m ai 2900m). Attraversare il Passo del Maccagno mi sembrò inizialmente impossibile da proporre a camminatori che non conoscevo. Non avevo ancora compreso la forza e la tenacia che risiede in me e in quegli straordinari camminatori dall’altra parte del mondo.
Fu un’illuminazione: la vita facile atrofizza le ambizioni. Solo mettendosi alla prova, superando i limiti che ci autoimponiamo, si scopre la propria vera capacità. Scoprii il modo d’essere dei miei compagni di viaggio, che affrontano quel che la vita gli presenta davanti con serenità, naturalezza, incoscienza.
In questi dieci anni, questa avventura si è rivelata una chiave per comprendere parte della storia della mia nazione e dei miei antenati. È un racconto di eroismo silenzioso, di donne e uomini la cui vita si è intrecciata nel dramma della guerra, compirono gesti coraggiosi senza pensare alla fama o al racconto futuro.
Matteo ne scrisse un articolo nel 2019 sul “il Biellese”:
Il professor Paschetto in occasione del 70° anniversario della Liberazione decise di sviluppare un progetto storico-escursionistico per i ragazzi intitolato “La lunga marcia del soldato Carrigan”, in collaborazione con il CAI di Mosso, con il Gruppo Alpinistico Scolastico (GAS) dell’Istituto Comprensivo “Vittorio Sella” e con l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI). L’obiettivo era quello di sottolineare lo stretto legame esistente tra il territorio montano e la guerra di liberazione (1943-45), utilizzando come filo conduttore la storia di alcuni ex prigionieri di guerra alleati, attraverso una serie di iniziative quali escursioni sul territorio, incontri con le varie ANPI locali, proiezioni di film, ecc.
Paschetto fu ispirato nella realizzazione del suo progetto da un incontro fortuito con Simon Tancred, direttore di Hidden Italy (http://www.hiddenitaly.com.au/) un’agenzia turistica di Sydney, che dal 1993 organizza trekking in tutto il territorio italiano. Simon Tancred tre anni prima era venuto a conoscenza dell’impresa di Carl Carrigan e di altri quattro soldati australiani. In particolare grazie alle memorie del soldato Carrigan riportate nel suo diario personale, alle mappe odierne dei tracciati escursionistici e al supporto di alcuni esperti biellesi, tra i quali Giuseppe Paschetto, nacque l’idea di organizzare il “Trails to Freedom”, un percorso di sette giorni, attraverso tre valli e cinque passi con un dislivello complessivo in salita di oltre 5000m.
Simon Tancred ha da poco pubblicato un libro in Australia.
Posso solo essere grata di aver conosciuto e ripercorso questi passi. Cinque passi di montagna, per la precisione, con oltre 5000 metri di dislivello totale. Numeri che pesano, pensando ai fuggitivi che, dopo l’armistizio del settembre del 1943, misero nuovamente a rischio la vita su percorsi inesistenti, un miraggio da raggiungere e ce la fecero solo grazie all’aiuto di chi viveva in montagna (donne e bambini soprattutto) e a molta fortuna.
Ho scoperto storie incredibili parlando con gli storici e gli scrittori delle valli, testimonianze di purezza e vigliaccheria. Mi sono resa conto che nessuno mi aveva mai raccontato questa storia; ero completamente ignorante. L’arrivo di Simon e del suo progetto di viaggio ha acceso una luce su quel periodo. Senza di loro, letteralmente, nessuno avrebbe piantato quel fiore (un papavero ovviamente) nella mia storia personale.
Questa vicenda non cambierà il mondo, che purtroppo non impara dagli errori, ma spero che questi atti di puro eroismo possano ispirare sempre più persone.
Il cammino è l’espressione più pura della libertà.
Tutto ebbe inizio incontrando Matteo Negro, il primo di una lunga lista di compagni di questa avventura. Mi chiese di accompagnare un gruppo di australiani lungo le valli valsesiane. La loro intenzione? Ripercorrere la via della fuga intrapresa da alcuni prigionieri australiani durante la Seconda Guerra Mondiale per raggiungere la Svizzera. Non sapevo nulla di quello che stavo per fare e questo è uno dei motivi per cui resta il viaggio più bello che ho fatto e che ripeto ogni agosto.
Insieme a Giorgio, un’altra guida della Valsesia, dicemmo subito di sì alla proposta di accompagnarli. Le prime prove furono faticose (ricordo la fatica, il sudore e le maledizioni). Provo sempre i percorsi che propongo, specie poi se sono in alta quota (dai 1400m ai 2900m). Attraversare il Passo del Maccagno mi sembrò inizialmente impossibile da proporre a camminatori che non conoscevo. Non avevo ancora compreso la forza e la tenacia che risiede in me e in quegli straordinari camminatori dall’altra parte del mondo.
Fu un’illuminazione: la vita facile atrofizza le ambizioni. Solo mettendosi alla prova, superando i limiti che ci autoimponiamo, si scopre la propria vera capacità. Scoprii il modo d’essere dei miei compagni di viaggio, che affrontano quel che la vita gli presenta davanti con serenità, naturalezza, incoscienza.
In questi dieci anni, questa avventura si è rivelata una chiave per comprendere parte della storia della mia nazione e dei miei antenati. È un racconto di eroismo silenzioso, di donne e uomini la cui vita si è intrecciata nel dramma della guerra, compirono gesti coraggiosi senza pensare alla fama o al racconto futuro.
Matteo ne scrisse un articolo nel 2019 sul “il Biellese”:
Il professor Paschetto in occasione del 70° anniversario della Liberazione decise di sviluppare un progetto storico-escursionistico per i ragazzi intitolato “La lunga marcia del soldato Carrigan”, in collaborazione con il CAI di Mosso, con il Gruppo Alpinistico Scolastico (GAS) dell’Istituto Comprensivo “Vittorio Sella” e con l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI). L’obiettivo era quello di sottolineare lo stretto legame esistente tra il territorio montano e la guerra di liberazione (1943-45), utilizzando come filo conduttore la storia di alcuni ex prigionieri di guerra alleati, attraverso una serie di iniziative quali escursioni sul territorio, incontri con le varie ANPI locali, proiezioni di film, ecc.
Paschetto fu ispirato nella realizzazione del suo progetto da un incontro fortuito con Simon Tancred, direttore di Hidden Italy (http://www.hiddenitaly.com.au/) un’agenzia turistica di Sydney, che dal 1993 organizza trekking in tutto il territorio italiano. Simon Tancred tre anni prima era venuto a conoscenza dell’impresa di Carl Carrigan e di altri quattro soldati australiani. In particolare grazie alle memorie del soldato Carrigan riportate nel suo diario personale, alle mappe odierne dei tracciati escursionistici e al supporto di alcuni esperti biellesi, tra i quali Giuseppe Paschetto, nacque l’idea di organizzare il “Trails to Freedom”, un percorso di sette giorni, attraverso tre valli e cinque passi con un dislivello complessivo in salita di oltre 5000m.
Simon Tancred ha da poco pubblicato un libro in Australia su questa incredibile vicenda.
Posso solo essere grata di aver conosciuto e ripercorso questi passi. Cinque passi di montagna, per la precisione! Numeri che pesano, pensando ai fuggitivi che, dopo l’armistizio del settembre del 1943, misero nuovamente a rischio la vita su percorsi inesistenti, un miraggio da raggiungere e ce la fecero solo grazie all’aiuto di chi viveva in montagna (donne e bambini soprattutto) e a molta fortuna.
Ho scoperto storie incredibili parlando con gli storici e gli scrittori delle valli, testimonianze di purezza e vigliaccheria. Mi sono resa conto che nessuno mi aveva mai raccontato questa storia; ero completamente ignorante. L’arrivo di Simon e del suo progetto di viaggio ha acceso una luce su quel periodo. Senza di loro, letteralmente, nessuno avrebbe piantato quel fiore (un papavero ovviamente) nella mia storia personale.
Questa vicenda non cambierà il mondo, che purtroppo non impara dagli errori, ma spero che questi atti di puro eroismo possano ispirare sempre più persone.







